Imprinting_"Le montagne" e "lo spigolo"


CAPITOLO 1 _ COME UNA MADDALENA

Opalino, cristallizzato, fermo e silenzioso nel ricordo, ma vivido, denso, veloce e vivo tra i globuli e le piastrine del sangue che scorre nelle vene di ciascun essere umano: è il luogo della memoria, lo spazio generatore, la culla dell’essere, la dimensione capace di caratterizzare un’impronta digitale, un’elica del DNA, un volto attraverso una ruga che dica di noi quanto abbiamo vissuto “con” quel posto. La questione, infatti, non indaga tanto relativamente al fatto che nel luogo della memoria si abbia vissuto o meno, per molto o per poco tempo, quanto sugli effetti che il luogo della memoria ha su di noi e sulle possibilità che apre il con-vivere con esso o con il suo ricordo.
Inconsapevolmente, ce lo portiamo dentro, come un diamante grezzo nell’anima, e cercarlo nel ricordo ha lo stesso sapore della Madeleine addentata da Proust: “all’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio."
Esistono, poi, i non-luoghi della memoria, quelle amache del ricordo prive di una realtà spaziale definita, ma che necessitano di un nome, o di un’immagine precisa, per trovare una dimensione fisica in cui alloggiare, come il “funambolo sospeso su un filo di neve” per Maxence Fermine, “un telefono a disco rotante” del Calvino di “Prima che tu dica pronto”, gli “ossi di seppia” o il “giallo dei limoni” di Montale… Tutte realtà che non potrebbero essere chiamate in altro modo, perché vivono anche nel loro appellativo il loro valore evocativo, il loro inconsapevole potere educativo.

Alla luce di tutta questa premessa, è doveroso sottolineare come i miei luoghi della memoria, per quanto fisici, assumano il valore aggiunto del non-luogo. Da piccolo, infatti, solevo attribuire agli spazi a cui ero affezionato nomi che potessero identificarli.
Due, sono due, come le corde vocali, i luoghi – entrambi domestici- che porto con me e a cui associo nomi che immediatamente rimandano all’idea di quegli spazi: “le montagne di Lamadacqua” e “lo spigolo”.
Sono due i luoghi che fanno della Puglia, la mia Puglia.




CAPITOLO 2_LE MONTAGNE DI LAMADACQUA

Tre trulli in fila, allineati in una “sequenza singolare” occupano un lato della struttura a L della mia residenza estiva a Lamadacqua, frazione di Noci, paese natìo. 
In ogni trullo una funzione della zona giorno, disposti in continuità spaziale, quella continuità che permetteva al mini-me di correre con la fantasia e cercare immagini oltre le cose.
Quei trulli baciati dal sole, sono l’involucro in pietra del vuoto.
Mi sono sempre interrogato su quella che potesse essere la causa della differenza di temperatura tra interno ed esterno. Ai tempi non studiavo ancora architettura, avevo 5 anni.
Mi sono raccontato che quei tetti in pietra dalla forma conica sono montagne vuote scavate nell’aria, nel cielo. Le Montagne di Lamadacqua non si vedono, ma si possono scavalcare.
Mi sono arrampicato e sono caduto, più di una volta.

CAPITOLO 3_LO SPIGOLO

Il luogo suggestivo, il pericolo..la curiosità.
Per me lo spigolo è quello, quel preciso angolo acuto nella zona giorno di casa.
Infiniti “attento allo spigolo!” urlati o sussurrati da mia madre, contro me o all’orecchio di un me ancora bambino, già teatrante o sperimentatore, sempre in corsa per le vie cave più improponibili del nido.
Attenzione allo spigolo.
Forse proprio quegli ammonimenti hanno acceso un riflettore su quell’angolo acuto, quasi scultoreo, immobile eppure tanto comunicativo, fermo, messo lì a spaventarmi, anche se la paura più grande era quella di mia madre.
Non ho mai compreso fino in fondo come quello spigolo, o angolo acuto, potesse incutere timore, il reale motivo per cui quella forma potesse essere così forte.
Lo spigolo, proprio quello, è ancora oggi l’enigma, lo spazio reverenziale, il luogo della memoria, più della mia cameretta.

CAPITOLO 4_DALLA MEMORIA ALL’IMPRINTING

La traduzione da memoria a imprinting è un efficace metodo involontario che subentra al momento della progettazione architettonica. Pensare a nuovi spazi che rispondano a particolari esigenze dettate dal programma e dalla posizione del progetto, implica inevitabilmente un’indagine e una ricerca nel bagaglio del progettista.
Come conseguenza del tempo impiegato a “sognare tra i trulli” e a “contemplare lo spigolo di casa”, l’Odin Space in procinto di essere progettato in Viale Giorgio De Chirico, potrebbe tener conto di:

 - Una forma architettonica caratterizzata dall’impatto evocativo che l’angolo acuto può provocare;

- L’integrazione dell’elemento vegetazionale che ricorda la serialità “singolare” dei trulli, all’interno di un sistema architettonico complesso in cui si fondano naturale e antropizzato;

-        - Riproporre la soluzione dell’alternanza pieno-vuoto, sfruttando l’ipogeo come elemento a favore dell’edificio e della sua fruizione.



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